Carta delle relazioni industriali

PREMESSA

Da tempo siamo incamminati lungo un viaggio il cui punto d’arrivo sarà  una società  diversa da quella conosciuta: le imprese, i sindacati, le istituzioni, i sistemi locali e le persone devono modificare in profondità  il loro modo di pensare, di vivere e di lavorare.
Marcel Proust sosteneva che: “il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.
Dunque, senza nuovi occhi è  difficile comprendere l’attualità  del “Rinnovamento Culturale” proposto e praticato in questi anni da Federmeccanica.
Un approccio nuovo che, oltre alla pur importante sottoscrizione in forma unitaria del Contratto Nazionale, ha contribuito a far sì che il lavoro di fabbrica uscisse dalle pagine della cronaca per tornare, finalmente, anche in quelle dedicate all’innovazione, alla cultura e alla società..
Se ciò  è  accaduto è  perché  la rappresentanza degli interessi dell’industria e del lavoro ha ripreso a parlare di contenuti, di persone, di impresa, di vita e di lavoro.
L’industria metalmeccanica si è  confermata così non solo luogo dell’innovazione, ma anche universo nel quale maturano cambiamenti culturali, destinati a influenzare – positivamente – l’evoluzione della società, come accadde nel secolo scorso con il “fordismo”.
Il merito di questo rinnovato protagonismo va alle parti sociali che hanno iniziato a comprendere e condividere l’esigenza di rinnovamento.
Non ci sono né  alibi, né  alternative: l’andamento del mercato, le pressioni competitive, la produzione “tirata” dalla domanda e la personalizzazione delle produzioni, aumentano in ogni impresa la variabilità, producendo maggior incertezza e instabilità.
Per uscire da una situazione come questa si deve non solo innovare, ma anche imparare a gestire il rischio implicito connesso all’andamento dei mercati. Questa è  un’attitudine che oggi è  indispensabile acquisire.

L’attuale organizzazione sociale, infatti, è  stata costruita in epoca fordista con lo scopo di contrattare a livello centrale la distribuzione del reddito tra i soggetti che in varia misura avevano concorso a produrlo e di assicurare un riferimento salariale comune che, assorbendo gran parte delle risorse, evitasse una concorrenza sul costo del lavoro.
Questa eredità  – che influenza tuttora in termini organizzativi e culturali le relazioni tra le parti – si confronta con un’economia in trasformazione nella quale questo tipo di negoziato è  diventato sempre meno rispondente alle concrete esigenze delle imprese che si trovano ad operare su un mercato globale in cui la componente costo del lavoro diventa un fattore determinante di competitività..
Si può  produrre ogni tipo di analisi e inventare ogni tipo di formula, tuttavia esiste un unico e sempre più  evidente dato di fatto: i posti di lavoro e il livello retributivo sono legati all’esito – per definizione incerto – del confronto competitivo con nuovi concorrenti e ad una domanda sempre più  variabile nelle mani delle decisioni del consumatore.

Se dunque l’impresa perde quote di mercato e di reddito, offrirà  minori posti di lavoro ai dipendenti e sarà  in grado di pagare retribuzioni inferiori.
Allo stesso tempo il successo dell’impresa porterà  crescita e benessere sia in termini occupazionali che economici per i lavoratori.
Ciò  significa che i rischi e i risultati devono essere condivisi, consapevolmente e contrattualmente. Il mondo e la fabbrica sono davvero cambiati.
Un tempo, solo pochi anni fa, il lavoro coincideva con il sudore della fronte e la fatica manuale, oggi gran parte di questa fatica è  stata sostituita dalle macchine.
L’affermazione e la valorizzazione della persona, che caratterizzano e caratterizzeranno sempre di più  la Quarta Rivoluzione Industriale, rappresentano un cambiamento di fondamentale importanza. Nessuna macchina, nessun robot, infatti, può  lavorare se non è  guidato da un uomo o da una donna esperti.
La centralità  della persona, la gestione del rischio e la creazione condivisa del valore, concorrono a rendere indispensabile la predisposizione di innovativi ed efficaci sistemi partecipativi, capaci di responsabilizzare e coinvolgere i collaboratori affinché  contribuiscano al successo dell’impresa.
L’originalità  del capitalismo italiano, costituito da “sciami” di piccole, piccolissime e medie imprese, impone di individuare e iniziare a praticare una Via Italiana alla Partecipazione.
I lavoratori “partecipano” alle decisioni e alla vita della propria impresa più  di quanto non si ritenga. Non si tratta certo di una partecipazione in stile tedesco – poco praticabile per il nostro sistema produttivo – ma siamo di fronte a una sorta di coinvolgimento “made in Italy”.

Più  informale e quotidiano, ma non per questo senza prassi precise: riunioni periodiche con il management, gruppi di lavoro volti a definire gli obiettivi aziendali e così via, che possano sostanziarsi in una partecipazione diretta dei lavoratori al miglioramento organizzativo/operativo dell’impresa.
Insomma, in una struttura reticolare com’è  il sistema produttivo nazionale, il coinvolgimento dei collaboratori alle scelte delle im­prese appare già  una tendenza consolidata e diffusa. Esiste un sistema di reciprocità  lavoratore ­impresa nel fluire quotidiano, in cui i collaboratori si sentono coinvolti, anche se non sempre pienamente riconosciuto e valorizzato da chi guida le aziende o i processi.

Le imprese e il lavoro devono trovare nuove formule di collaborazione per “creare valore condiviso”.
Ma la Via Italiana alla partecipazione non deve tentare di imitare modelli elaborati in altri Paesi e per noi improponibili. Al contrario, deve nascere all’interno di quel capitalismo molecolare, familiare e di territorio che rappresenta il cuore e la parte prevalente della manifattura italiana.
Un’identità  preziosa che rappresenta il punto di forza del made in Italy.
L’Italia, oggi, ha bisogno di risposte concrete, di nuove idee e di una nuova cultura, coerenti con la Quarta Rivoluzione Industriale e, dunque, con un’economia fondata sulla conoscenza. I metalmeccanici, siano essi imprenditori o lavoratori, hanno iniziato a intravedere la possibilità  di aprire una nuova strada.
Una via indispensabile per raggiungere due mete egualmente importanti: rinnovare le proprie imprese e indicare al Paese che collaborare è  non solo possibile, ma anche giusto, perché  è  una scelta che si dimostra conveniente per tutti.