Relazione del Presidente Fabio Storchi
Presidente Vendola, Presidente Schitulli, Sindaco Decaro, Autorità, Presidente Squinzi, Presidente Dolcetta, Relatori, Colleghe e Colleghi, a nome mio e dell’industria metalmeccanica italiana porgo a ciascuno di voi il più caloroso benvenuto.
Un saluto particolare lo rivolgo ad Alessandro Laterza, il cui impegno associativo e civile rappresenta un punto di riferimento per il sistema Confindustria.
Ringrazio e saluto con affetto il Presidente Michele Vinci, che ha accolto con entusiasmo l’idea di organizzare la nostra Assemblea nella sua bellissima città e ringrazio i numerosi sponsor che con il loro prezioso contributo l’hanno resa possibile.
Sono trascorsi dodici mesi dal nostro incontro di Genova e oggi ci ritroviamo nel meraviglioso teatro Petruzzelli.
Un luogo, perduto e ritrovato, che ben rappresenta non solo l’identità di questa terra, ma anche il suo legame ideale con quei cento teatri, che raccontano la storia di un popolo, di un Paese e di una nazione che, oggi più che mai, siamo chiamati ad amare e servire.
UNA CERNIERA TRA NORD E MEZZOGIORNO
Ci ritroviamo qui non per una scelta casuale, ma animati dalla consapevolezza che Bari rappresenta la cerniera ideale tra l’universo manifatturiero del Nord e quello del Mezzogiorno.
Per numero di addetti e di aziende il distretto di Bari-Modugno è, infatti, uno tra i maggiori poli industriali dell’intera dorsale adriatica e, dunque, del Paese.
Una realtà che nel 2013 ha esportato merci per un valore vicino ai 2 miliardi di euro.
Un distretto nel quale operano imprese leader, attive nei settori della meccanica e della meccatronica, con una elevata specializzazione nell’automotive e nell’aeronautica.
Abbiamo scelto di riunirci qui per contribuire a dare visibilità e a valorizzare un patrimonio di conoscenze e competenze determinante per il successo del medium hi tech italiano nel mondo.
L’orgogliosa affermazione del valore della meccanica locale e nazionale risponde, prima di tutto, alla necessità di tutela delle nostre imprese.
L’industria italiana, infatti, vive un paradosso: da una parte, è forte, competitiva e di successo; dall’altra, presenta elevate criticità determinate, in larga misura, dal contesto nazionale nel quale opera.
UN PAESE CHE ARRETRA
Negli ultimi anni, quelli – tanto per intenderci – nei quali l’industria meccatronica barese ha visto aumentare significativamente il proprio fatturato, il nostro Paese ha subito un pesante deterioramento economico e sociale.
Le cifre, nella loro crudezza, parlano chiaro.
L’attività industriale si è ridotta di un quarto e, per il settore metalmeccanico, la caduta è stata del 30%.
Gli investimenti sono crollati del 26% e in rapporto al Pil sono al livello più basso dal dopoguerra.
Sette milioni di italiani sono senza lavoro: una cifra doppia rispetto a quella registrata sette anni fa.
Le famiglie hanno tagliato sette settimane di consumi, equivalenti a 5.000 euro all'anno.
Il Pil totale è diminuito del 9% e quello pro-capite di oltre undici punti, cioè 2.900 euro a testa: siamo così tornati ai valori del ‘96.
L’insieme di questi risultati ha contribuito a un pesante arretramento del nostro Paese anche nelle più importanti classifiche internazionali della competitività.
Non c’è esagerazione se si afferma che i danni subiti sono paragonabili a quelli di una guerra.
Nelle scorse settimane, il Governatore della Banca d’Italia ha evidenziato, nelle sue Considerazioni finali, che “l’uscita dalla recessione è travagliata e la ripresa in atto si presenta fragile e incerta, anche se non mancano segnali positivi, come i maggiori afflussi di capitale e un miglior clima di fiducia".
Un dato, quest’ultimo, confermato dalle esportazioni che, proprio in questi mesi, hanno raggiunto nuovamente i livelli record del 2007.
Appare evidente la necessità di distinguere le dinamiche di un Paese in crisi da quelle di gran parte della sua industria manifatturiera, che ha dimostrato eccezionali doti di tenuta e di competitività internazionale.
Riferendoci al Paese, dobbiamo rilevare il declino di un modello politico, sociale e istituzionale che, per un lungo periodo, era riuscito ad integrare l’economia, la politica e la pubblica amministrazione.
Oggi, la politica è in crisi e le diverse articolazioni dello Stato sono diventate un universo, spesso arbitrario, nel quale permessi, divieti, procedure, sentenze e sanzioni si sono sovrapposti, gli uni agli altri, determinando un groviglio inestricabile.
Una condizione che favorisce la criminale commistione tra politica e affari che dobbiamo fermamente condannare e contrastare.
Ritornando al dualismo tra imprese e Paese, voglio ricordare che un anno fa, a Genova, Federmeccanica ha sostenuto la necessità di lasciarsi alle spalle il passato e di guardare con decisione al futuro.
Un esercizio di analisi, studio e azione da realizzarsi mettendo al lavoro il grande potenziale di esperienza, conoscenza e innovazione di cui siamo portatori.
COMPRENDERE UN MONDO CHE CAMBIA
Negli ultimi dodici mesi ci siamo confrontati non solo al nostro interno, ma anche con le realtà territoriali, con il più ampio sistema confindustriale e con le Organizzazioni sindacali.
Ci ha guidato la volontà di elaborare una visione capace di rispondere ai tanti quesiti che la trasformazione in atto ci pone.
Allo stesso tempo, ci ha animato la volontà di cogliere la profondità del malessere economico e sociale che si è diffuso nel Paese.
Ciò che è emerso è una realtà di grandi contrasti.
Per gran parte degli imprenditori, obbligati a misurarsi con una caduta verticale della produzione, è stato naturale reagire, introdurre innovazioni, aumentare la produttività e internazionalizzare.
La situazione dei lavoratori dipendenti e di gran parte dei cittadini, ha avuto, di fronte alla crisi, minori possibilità d’adattamento e reazione.
In questi anni abbiamo assistito alla divaricazione tra chi aveva un posto di lavoro, all’interno di realtà capaci di rispondere alla crisi, e chi operava nei settori più esposti al crollo del mercato interno o alla concorrenza dei paesi low cost.
Quella che stiamo vivendo non è solo una crisi congiunturale, ma una “grande trasformazione” dell’economia e della società.
Non è solo una questione nazionale, ma anche e soprattutto il sintomo di una vera e propria “transizione” tra due epoche storiche, declinata su scala globale.
UN NUOVO MONDO
Comprendere questo dato è la premessa indispensabile per capire e adattarsi alle radicali trasformazioni che stanno definendo l’identità del nuovo secolo.
La prima è la globalizzazione, che enfatizza, tanto in positivo, quanto in negativo, le differenze di costo, di capacità e di cultura tra i diversi paesi.
La seconda è l’intelligenza delle persone, che attraverso l’innovazione permette di aumentare la complessità dei processi, dei prodotti e delle relazioni.
La terza è costituita dai contenuti, immateriali, simbolici e di servizio, incorporati nelle produzioni.
La quarta è la facilità di “connessione” che collega in rete imprese, persone, macchine e territori.
La quinta, infine, è la tecnologia che permette inedite soluzioni di processo, di prodotto e di servizio.
Non solo le imprese, ma anche le nazioni, le istituzioni, i partiti, i sistemi locali e le persone sono investite, direttamente, da questo processo evolutivo, destinato a cambiare il modo di pensare, vivere e lavorare.
In tale quadro di riferimento, nessuno ha più ragioni di altri, ma tutti devono avere la consapevolezza e il coraggio necessari per affrontare percorsi innovativi, fondati sulla revisione dei vecchi paradigmi.
LE IMPRESE E LA “TRANSIZIONE”
Le imprese manifatturiere, maggiormente esposte alle dinamiche internazionali, hanno percepito, prima di altri attori sociali, questo stato di cose.
Nei fatti, come ha ben evidenziato il Centro Studi di Confindustria, tra le aziende industriali italiane si va manifestando un inedito dualismo.
Le imprese che faticano a tenere il passo perché non hanno ancora saputo o potuto adattarsi alle novità del mercato.
E le imprese, piccole, medie e grandi, che hanno impresso alla propria struttura una forte accelerazione nel cambiamento e adottato strategie diverse dal passato e adeguate alle nuove dinamiche dei mercati.
Il cardine di questo percorso è stata la trasformazione dei saperi interni e delle competenze distintive in strumenti di differenziazione dei prodotti e dei servizi e, dunque, di maggior capacità competitiva.
Federmeccanica ha deciso di avviare, congiuntamente con Confindustria, attraverso il Centro Studi, un progetto di ricerca di durata biennale sulla crescita e l’organizzazione delle imprese.
Il Laboratorio di Sistema, che sarà presentato dal Presidente Squinzi nel suo intervento conclusivo, si propone di indagare le esperienze aziendali di successo.
L’obiettivo è utilizzare queste best practice come punto di riferimento per gli imprenditori impegnati nel riposizionamento competitivo delle loro imprese.
Si tratta di un’estensione del progetto Focus Group –realizzato dal CSC tra il 2010 e il 2011 – che ha evidenziato il valore strategico dell’intreccio tra la crescita dimensionale, la centralità dalla conoscenza e lo sviluppo del capitale umano.
IL CAPITALE UMANO
Proprio la persona – non più la macchina, il capitale o l’organizzazione – si avvia, infatti, a diventare il vero baricentro dell’impresa, che compete nel mercato globale fondato sulla conoscenza.
Nei mesi scorsi, il Centro Studi ha organizzato qui, a Bari il suo incontro biennale, dedicato al tema: “Capitale sociale e umano: la forza del Paese”.
Un appuntamento ispirato da una visione condivisa totalmente da Federmeccanica.
La carenza di professionalità adeguate costituisce un elemento di debolezza della nostra industria nella competizione internazionale.
La scarsa attenzione della politica italiana sulla questione strategica dell’istruzione e della formazione rappresenta un fatto di assoluta gravità.
Negli ultimi anni il Governo italiano ha ridotto in modo significativo i propri trasferimenti alla Scuola e all’Università.
Anche gli obiettivi ufficiali che negli anni scorsi sono stati comunicati alla Commissione Europea, nell’ambito del progetto 2020, evidenziano un’insufficiente attenzione della nostra politica su questo tema.
Il risultato è che siamo ultimi in Europa come numero di laureati nella popolazione tra i 30 e i 34 anni d’età, un indicatore che misura “il capitale umano” più importante per il presente e il futuro di un Paese.
Signori, non ci siamo.
Le imprese e l’Italia hanno bisogno di risorse umane di valore.
Nelle fabbriche, nelle multinazionali tascabili e nelle filiere di fornitura, servono persone capaci di avere una visione d’insieme dei processi e delle dinamiche aziendali.
Collaboratori dotati di autonomia, in grado di prendere decisioni, di pianificare e organizzare il proprio lavoro, di tenere sotto controllo le attività, di saper gestire le informazioni e le relazioni.
Uomini e donne in grado di impiegare le conoscenze teoriche e tecniche acquisite, riconoscendone il campo d’applicazione, in relazione all’attività da svolgere.
Un risultato ottenibile solo completando la formazione teorica con l’esperienza sul campo.
L’ALTERNANZA SCUOLA LAVORO
A tal fine, Federmeccanica è impegnata, insieme a Confindustria, a diffondere forme di collaborazione, finalizzate alla progettazione e alla realizzazione di percorsi di alternanza scuola-lavoro.
Nei giorni scorsi, proprio su questo tema, abbiamo sottoscritto con il Ministro Giannini un progetto pilota che vuole fare la differenza introducendo l’obbligatorietà di 600 ore di alternanza nel triennio e la coprogettualità.
Un’iniziativa di ampio respiro che ci auguriamo possa contribuire a introdurre, anche in Italia, il sistema duale già sperimentato con successo nel Nord Europa.
È ora di cambiare l’avvilente realtà italiana, in cui troppi giovani non vedono nella fabbrica una prospettiva di lavoro, mentre le imprese cercano, invano, professionalità non disponibili sul mercato.
Negli anni scorsi sono stati fatti passi importanti attraverso la riforma dell’istruzione tecnica, della formazione professionale e con l’introduzione degli ITS.
Ma tanto resta ancora da fare per dare piena attuazione alla riforma.
Il nostro Paese deve poter contare anche su una Università rinnovata, con la quale il sistema produttivo possa confrontarsi e collaborare intensamente, come accade nei paesi con i quali competiamo.
Colgo l’occasione per annunciare un’iniziativa del Gruppo Metalmeccanico di Confindustria Bari e B.A.T. che, con il sostegno di Federmeccanica, assegnerà, nell’anno in corso, quattro borse di studio ad altrettanti studenti del Politecnico di Bari.
LE NUOVE RELAZIONI INDUSTRIALI
La questione delle risorse umane, della loro qualità e della loro formazione, ci introduce immediatamente alla realtà d’impresa, dove il dialogo, la collaborazione e una forte unità d’intenti sono un’esigenza vitale.
Produttività, efficienza, competitività, da un lato, e rispetto e valorizzazione del lavoro, dall’altro, sono i valori imprescindibili sui quali costruire una rinnovata esperienza di relazioni industriali.
Relazioni per innovare, per crescere, per risolvere i problemi, ma, soprattutto, capaci di leggere e di interpretare il cambiamento e di confrontarsi con le migliori pratiche internazionali.
Dobbiamo però superare antichi deficit culturali e di comportamento: l’approccio conflittuale deve essere definitivamente archiviato.
Nel gennaio scorso Confindustria, come ben sapete, ha sottoscritto l’accordo sulla rappresentanza e per l’esigibilità dei contratti.
Un’intesa che affronta aspetti fondamentali, per una reale modernizzazione delle relazioni industriali, che, tuttavia, alimenta ancora tensioni e divisioni.
Ora dobbiamo guardare avanti e andare oltre.
Non possiamo più permetterci conflittualità su temi come la rappresentanza, l’esigibilità ed il rispetto delle regole che, oltre ad essere principi di diritto, sono, prima di tutto, principi di civiltà.
Il rispetto delle regole non può essere un’opzione, deve essere il cardine della nostra azione.
E’ necessario elevare il livello del confronto.
In un momento in cui è palese la crisi della rappresentanza e la disaffezione si manifesta non solo nei confronti della politica, ma anche dei vari livelli intermedi, abbiamo tutti il dovere di dare risposte ai problemi concreti delle imprese e dei lavoratori.
Dobbiamo confrontarci con la dura realtà che presenta dati sconfortanti in termini d’occupazione, di produttività e, più in generale, di competitività.
Questi sono i temi all’ordine del giorno ed è su questi temi che inviteremo le Organizzazioni Sindacali, fin da subito, a un confronto a 360° gradi.
A livello nazionale dobbiamo affrontare questioni di alto profilo, dobbiamo confrontarci con la realtà dei Paesi con cui competiamo nel mondo.
Allo stesso tempo, dobbiamo lasciare ampi spazi alla contrattazione aziendale in tutti i casi in cui ci siano le condizioni e le volontà di procedere in tal senso.
Una scelta indispensabile perché le nuove forme di organizzazione delle imprese hanno cambiato in profondità il modo di produrre e lavorare.
Oggi, nelle fabbriche, troviamo più autonomia e più spazio di iniziativa individuale rispetto alle prestazioni segmentate e standardizzate prevalenti nel passato.
In coerenza con questa visione, nelle aziende devono potersi definire deroghe significative per conseguire il maggior grado di flessibilità.
Accordi – coerenti con i contratti nazionali – che possano introdurre alternative sostanziali anche nei contenuti economici, che non devono duplicarsi e che devono ancorarsi ai risultati delle imprese.
Nel mondo siamo l’unico paese con una dinamica del costo del lavoro totalmente slegata dall’andamento dell’economia e della produttività.
Occorre intervenire e dobbiamo farlo in fretta.
Il salario di produttività deve poter essere interamente decontribuito e detassato anche quando nasce da un’autonoma decisione dell’imprenditore.
Federmeccanica non ha pregiudizi, anzi, è certa che la fase di transizione, alla quale ci siamo riferiti poco fa, richieda e imponga scelte fortemente innovative.
È quindi necessaria una nuova alleanza tra impresa e lavoro per ridare competitività alla nostra manifattura.
A questo fine è oggi indispensabile che l’impresa sviluppi sistemi avanzati di Relazioni Interne, realizzando un pieno coinvolgimento dei collaboratori.
La centralità della persona deve manifestarsi anche nelle Relazioni Industriali, che non possono essere rappresentate soltanto dall’elemento collettivo, ma anche da quello individuale.
Ambiti, quello individuale e quello collettivo, che non si pongono come alternativi, bensì come parti integrate di un sistema di Relazioni Industriali efficiente e inclusivo.
Il Manifesto delle Relazioni Industriali guiderà la nostra azione e il confronto con le Organizzazioni Sindacali
PER UN RINNOVATO MERCATO DEL LAVORO
In questi mesi Federmeccanica ha elaborato, insieme a Confindustria, anche un position paper, sulla riforma del mercato del lavoro, presentato a Milano il 6 maggio scorso.
Un documento caratterizzato da cinque punti per noi di fondamentale importanza: semplificazione, flessibilità, costo del lavoro, certezza e tutela sociale.
Le imprese hanno bisogno di regole che permettano di operare modifiche organizzative e dimensionali in tempi rapidissimi, per rispondere alla volatilità del mercato e adeguare continuamente l'offerta alla domanda.
È necessario intervenire sulle tipologie contrattuali, per rendere più flessibile l'applicazione dei contratti, nella logica di una loro sempre maggiore adattabilità alle mutevoli esigenze produttive ed organizzative.
Questo vale anche per il contratto a tempo indeterminato, che deve essere più flessibile e attrattivo per le imprese, eliminando i vincoli che, di fatto, scoraggiano le assunzioni.
Flessibilità e semplificazione richiedono un’azione forte anche sulle politiche attive; ciò significa ridefinire i meccanismi per far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro.
Non bastano le politiche di sostegno al reddito dei lavoratori, le uniche su cui l’Italia ha finora messo risorse; perché il mercato sia dinamico bisogna assicurare azioni efficaci per la formazione e il ricollocamento dei lavoratori.
Le misure varate dal Governo, in materia di lavoro, vanno nella giusta direzione.
Un pacchetto articolato in un provvedimento urgente sui contratti a termine e sull'apprendistato, per assecondare l’ancor debole ripresa, e una legge delega per una riforma più ampia, volta a rendere il mercato del lavoro strutturalmente più dinamico ed efficiente.
Nei prossimi mesi monitoreremo costantemente l’iter di approvazione della legge delega in Parlamento.
LE RIFORME: ADESSO!
Come ben sappiamo, oltre alla riforma del mercato del lavoro, servono anche le altre riforme, attese da troppo tempo, per liberare le imprese dai pesi insostenibili della burocrazia, del fisco e dell'inefficienza del sistema.
Senza riforme è impossibile agganciare la crescita.
Dall’esecutivo guidato da Matteo Renzi sono venuti segnali incoraggianti.
Nella sua agenda dei primi cento giorni sono entrate la legge elettorale, la pubblica amministrazione, le riforme istituzionali, la delega fiscale e la legislazione del lavoro.
L’esito della recente tornata elettorale, con la grande voglia di cambiamento testimoniata dagli elettori, ci spinge a ritenere che sussistano le condizioni per realizzare quanto anticipato o avviato.
Allo stesso tempo, il semestre di Presidenza italiana della Commissione, offre l’opportunità per un cambio di passo nella politica europea, come esplicitamente richiesto dai cittadini dell’Unione nelle recenti elezioni.
Per il nostro Paese è indispensabile non solo un’azione di governo autenticamente riformatrice, ma anche una politica continentale che abbandoni l’austerità per concentrarsi sulle imprese e sul lavoro.
INVESTIRE!
Bisogna tornare a investire perché i necessari aumenti di produttività e l'altrettanto necessaria crescita dell'occupazione sono due aspetti conciliabili, se torna a salire la domanda interna, cioè i consumi e gli investimenti.
Servono investimenti, privati e pubblici, nazionali ed europei.
Servono investimenti fissi per accrescere la domanda interna.
Parliamo di costruzioni, di macchine e attrezzature, di mezzi di trasporto; parliamo, in particolare, di investimenti pubblici, che da anni scendono, mentre la qualità delle infrastrutture italiane peggiora a vista d’occhio, regalandoci immagini da paese del quarto mondo.
Per ridare lavoro all’Italia bisogna aprire nuovi cantieri!
Sono tre le cose che servono: volontà, risorse e fiducia.
Gli italiani da troppo tempo hanno smarrito questi tre elementi vitali.
Dobbiamo recuperare la fiducia in noi stessi e abbandonare il pessimismo.
Noi siamo tuttora un Paese, leader in molti campi, a cui il mondo guarda con ammirazione.
L’ORGOGLIO METALMECCANICO
Oggi, per me, parlare a nome dell’industria metalmeccanica è un privilegio emozionante.
Da tempo ci riferiamo all’Orgoglio Metalmeccanico e lo facciamo senza retorica autoreferente.
Un sentimento fondato su dati oggettivi, sui risultati che noi imprenditori, con le nostre imprese e con i nostri collaboratori, abbiamo raggiunto nonostante questi anni difficili.
Le statistiche dell'International Trade Centre dicono che l’industria meccanica italiana è seconda al mondo per competitività, subito dopo la Germania”.
Nel 2013 abbiamo raggiunto risultati storici.
Il primo è quello relativo all’export che, su una produzione complessiva di 400 miliardi di euro, ha toccato i 190 miliardi con un saldo positivo di ben 65.
Dati che, da soli, valgono mille discorsi, mille articoli o mille talk show.
I fatti indicano, in modo incontrovertibile, che l’industria meccanica ha un ruolo fondamentale nell’innovazione.
Il futuro ci appartiene perché tutte le nuove tecnologie sono destinate a combinarsi con la meccanica, per dare vita a nuove generazioni di prodotti e servizi.
Secondo i più autorevoli osservatori la rivoluzione tecnologica prossima ventura riguarderà, non solo l’interazione tra biotecnologie, robotica e informatica ma anche la rivoluzione digitale, l’internet delle cose, la capacità di sfruttare i big data e l’intelligenza artificiale.
Perseguire tutto questo significa, inevitabilmente, avviare la trasformazione della fabbrica tradizionale, attraverso un'integrazione spinta tra diverse tecnologie innovative.
In tale prospettiva il futuro del manifatturiero è destinato ad avere due caratteristiche imprescindibili: essere intelligente ed essere flessibile.
Sappiamo che questa è la strada; un cammino che non ci spaventa, ma che siamo costretti a fare in un Paese che, finora, si è occupato troppo poco di noi.
CONCLUSIONI
Autorità, Presidente Squinzi, Colleghe e Colleghi, è arrivato il momento di costruire un’Italia diversa.
Non ci sono più alibi.
È giunta l’ora della responsabilità, dell’impegno e della volontà per rinnovare noi stessi e il mondo che ci circonda.
Martin Luther King ci ha lasciato in proposito un pensiero memorabile
“Prima o poi arriva l'ora in cui bisogna prendere una posizione che non è né sicura, né conveniente, né popolare; ma bisogna prenderla, perché giusta”.
Scarica il Manifesto delle Relazioni Industriali Scarica il Protocollo MIUR "Federmeccanica"