L’indagine congiunturale relativa al settore metalmeccanico per il secondo trimestre dell’anno registra una nuova contrazione nella produzione e una perdita, anche se contenuta, di posti di lavoro. La Federazione chiede misure incisive, per rilanciare la domanda interna e restituire competitività alle imprese, investendo su formazione e alternanza scuola-lavoro.
Roma, 11 settembre 2014 – Federmeccanica ha presentato oggi i risultati della 131° indagine congiunturale sul settore metalmeccanico italiano. I dati evidenziano un andamento nuovamente negativo per il secondo trimestre del 2014, con una contrazione dei volumi produttivi dell’1,6% rispetto al primo trimestre e dell’1,9% nel confronto con l’analogo periodo dell’anno precedente (la perdita complessiva è stata di oltre 31 punti percentuali rispetto al periodo pre-recessivo, per una ricchezza prodotta scesa del 18%).
Questo scenario conferma quindi come, nell’arco degli ultimi 18 mesi, non ci siano stati segnali forti e duraturi di superamento della stagnazione, nonostante l’alternanza di tendenze di segno opposto che sta caratterizzando il settore, con la conseguenza che gli attuali livelli di produzione risultano in linea con quelli di inizio 2013.
A individuare le cause della complessiva stagnazione che continua a caratterizzare il settore metalmeccanico è Alberto Dal Poz, Vice Presidente di Federmeccanica, che spiega: «una domanda interna per i beni di consumo ferma, la diminuzione di quella per beni di investimento, le difficoltà nella ripresa della domanda estera frutto degli sconvolgimenti in atto nel vicino Medio Oriente e delle tensioni con la Russia sono tra le macro-cause che stanno condizionando pesantemente la capacità di ripartire delle imprese. I dati recenti sui prezzi al consumo, anche se in parte legati ai prodotti energetici, testimoniano il pericolo della deflazione che potrebbe innescare una spirale perversa tra diminuzione dei prezzi e domanda interna, con pesanti conseguenze sui ricavi delle imprese e sui livelli occupazionali».
A livello occupazionale, infatti, prosegue il ridimensionamento degli addetti, con un calo dell’1% nei primi sei mesi del 2014 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno nelle aziende con oltre 500 addetti. Il trend, secondo quanto emerge dall’indagine, proseguirà anche nel prossimo semestre, mentre dall’inizio della crisi il decremento è stato di oltre 230 mila unità. In parallelo, invece, le retribuzioni contrattuali dei lavoratori metalmeccanici sono cresciute del 2,8% nei primi sei mesi dell’anno mentre quelle di fatto sono aumentate dell’1,2% (dato relativo alle imprese con più di 500 occupati). «In questo contesto di stabilità del costo della vita e di sostanziale riduzione del valore aggiunto prodotto dal settore - aggiunge Dal Poz -, le retribuzioni salgono. Una situazione che deve farci riflettere sul tema, sempre più urgente, del collegamento tra salari e produttività, in modo da riattivare un circolo virtuoso necessario per il recupero di competitività dell’intero sistema».
«Il 2014 - sottolinea Stefano Franchi, Direttore Generale di Federmeccanica - rimane caratterizzato da attese occupazionali negative, con un tasso di disoccupazione giovanile che nel mese di luglio è stato pari al 42,9%. Una situazione che va affrontata e risolta, con meccanismi di formazione tecnica, sviluppo delle competenze e programmi in grado di agganciare la scuola al mondo delle imprese. È apprezzabile la proposta del Governo, nell’ambito della riforma della scuola, di potenziare l’alternanza tra formazione e lavoro, in linea con il modello delineato nel Protocollo firmato di recente tra Federmeccanica e Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Abbiamo voluto questo intervento con l’obiettivo di favorire l’occupabilità dei giovani rispondendo alla domanda di profili tecnici provenienti dalle aziende (secondo Unioncamere sul mercato mancano 47 mila lavoratori tecnici intermedi), attraverso un progetto che mira a coinvolgere gli studenti del secondo biennio e del quinto anno delle scuole tecniche e professionali in esperienze di 600 ore all’interno di un contesto lavorativo. Tuttavia per trasformare l’occupabilità in occupazione sono necessarie misure incisive. Bisogna rilanciare la domanda interna, approntare strumenti che ridiano competitività alle nostre imprese e, in particolare, rimuovere le rigidità del mercato del lavoro, superare la burocrazia e alleggerire l’insostenibile carico fiscale. Solo così sarà possibile dare fiducia e liberare risorse per stimolare investimenti e conseguentemente avviare un’inversione di tendenza degli attuali livelli di disoccupazione».
Migliore la situazione a livello di esportazioni, che hanno registrato un +1,7% nei primi cinque mesi dell’anno, soprattutto grazie alla domanda proveniente dall’area economica dell’UE (+5,3%), mentre, al di fuori dell’Europa, il dato più significativo è il +18,5% verso la Cina. Questi dati sono frutto di una generale crescita dell’economia e del commercio mondiale nei mesi più recenti, che ha avuto ricadute positive anche per l’attività esportativa del nostro Paese e ha permesso di portare il saldo su un attivo pari a circa 26 miliardi di euro.
Qualche timido segnale positivo giunge anche dall’incremento del portafoglio ordini, che assicurano una produzione pari a 5,1 mesi rispetto ai 4,9 del primo trimestre, mentre persistono le difficoltà a livello di liquidità aziendale e rimane alto il ricorso alla Cig (da gennaio a giugno le ore autorizzate per sono state circa 216 milioni, in leggero calo rispetto al 3,8% dello stesso periodo dell’anno precedente).