Federmeccanica: uniti per il rilancio dell'industria senza il manufatturiero non c'è sviluppo né ripresa

Un evento senza precedenti, conferenze e note stampa in tutta Italia, in contemporanea, che coinvolgono per la prima volta più di 60 gruppi territoriali, per mandare un unico messaggio: la metalmeccanica è centrale per promuovere una nuova stagione di sviluppo perché senza industria non ci sono posti di lavoro, non c’è produzione di ricchezza (PIL) e quindi non c’è benessere.

 

Roma, 27 novembre 2014 – In occasione della presentazione della 132° indagine congiunturale sul settore metalmeccanico italiano, Federmeccanica lancia un messaggio forte: la centralità dell’industria metalmeccanica e in generale del manifatturiero italiano per aprire una nuova stagione di sviluppo, economico ma anche sociale. Per uscire dalla crisi profonda e strutturale che stiamo vivendo bisogna infatti che il Paese colga le grandi opportunità offerte dall’industria. Senza un’azione decisa in questa direzione, sono a rischio i posti di lavoro, il reddito, i consumi e il benessere dell’intero sistema Italia.

Oltre al tradizionale appuntamento romano, dunque, per la prima volta, la presentazione dei risultati relativi al comparto coinvolge contemporaneamente 60 gruppi metalmeccanici in tutto il Paese, attraverso conferenze e note stampa per fare il punto sulla situazione dei singoli territori. L’obiettivo è unire tutte le voci dell’industria metalmeccanica per dare peso e forza alla domanda di cambiamento.

«Oggi è la giornata dell’orgoglio metalmeccanico, l’orgoglio per le imprese, per l’eccellenza dei suoi prodotti e per il ruolo trainante del settore per l’economia del Paese – spiega Fabio Storchi, presidente di Federmeccanica –. La metalmeccanica non è soltanto il cuore dell’industria italiana e il più rilevante tra i comparti manifatturieri per la sua capacità di contribuire alla produzione della ricchezza nazionale (8%) e di dare lavoro a oltre 1,8 milioni di persone. Lo è anche per la sua propensione all’innovazione, per la spinta competitiva delle sue imprese che si rinnovano e si internazionalizzano e per la volontà e la capacità di reagire, tutti elementi che costituiscono un volano per l’intera economia. Il settore è pronto a fare la sua parte, con il suo capitale di idee, creatività e qualità che ha concorso al successo mondiale del Made in Italy».

Tuttavia la metalmeccanica non può ribaltare le sorti del Paese da sola. Tre le azioni da intraprendere subito: rilancio della domanda interna tramite maggiori investimenti; un mercato del lavoro efficiente ed inclusivo in un sistema che stimoli la partecipazione e la produttività; una politica industriale che favorisca l’innovazione e permetta alle nostre imprese di affrontare la sfida della 4^ rivoluzione industriale ormai alle porte.

Il primo punto in agenda sono gli investimenti. Maggiori investimenti pubblici in infrastrutture possono invertire la tendenza della domanda interna e aiutare la ripresa. Ma uno sforzo significativo deve anche provenire dai privati al fine di potenziare gli investimenti in ricerca, in macchinari e attrezzature per ridare slancio alla competitività dell’industria. Per favorirli l’unica via è liberare risorse da destinare all’industria eliminando gli sprechi ma soprattutto attraverso una politica seria e determinata di spending review. Dovranno inoltre essere utilizzati al meglio i finanziamenti di 300 miliardi di euro previsti dal Piano straordinario Juncker nel prossimo triennio a sostegno degli investimenti pubblici e privati nei Paesi dell’Unione Europea.

«L’attuale Governo deve trasformare le aspettative positive che ha diffuso – continua Storchi – in cambiamenti concreti, per fare in modo che quelle aspettative si trasformino in fiducia. Questo significa una legge elettorale che dia a chi vince una solida maggioranza per governare ed un iter legislativo che consenta una rapida applicazione delle nuove norme. Occorre attuare fino in fondo una riforma del mercato del lavoro che renda chiare le regole, e introduca la necessaria flessibilità imposta dal nuovo scenario economico mondiale tutelando nel contempo il lavoratore in quanto persona. Prioritario inoltre l’abbattimento del cuneo fiscale che nel nostro Paese è pari al 53% del costo del lavoro a fronte di una media UE del 44% e la riduzione della tassazione che grava sulle imprese e che incide sui profitti per il 65,4% rispetto ad una media UE del 42%. L’abolizione dell’IRAP sulla componente lavoro prevista dalla Legge di Stabilità va nella giusta direzione ma ancora molto resta da fare».

I dati dell’indagine congiunturale relativa al terzo trimestre del 2014

A livello nazionale la 132° indagine congiunturale testimonia come la ripresa sia ancora lontana: nel secondo e nel terzo trimestre di quest’anno l’economia italiana è tornata in fase recessiva. Tra luglio e settembre la produzione metalmeccanica è scesa di un ulteriore 1,5% rispetto al precedente trimestre (-1,9% rispetto all’analogo periodo del 2013), un risultato ben peggiore di quello della media europea, che ha registrato, nel corso degli ultimi dodici mesi, una crescita dell’1,2%. Di contro si evidenza un leggero incremento delle esportazioni (+0,8%), ottenuto grazie alla domanda che proviene da Cina (+12,4%) e Stati Uniti (+13,7%), che però è stata quasi completamente vanificata dai segni negativi che vengono soprattutto dalla Russia (-11%) anche a causa del conflitto in atto con l’Ucraina, dalla debole congiuntura nei Paesi dell’area dell’euro e dalle tensioni in Medio Oriente.

I risultati confermano anche il trend negativo delle dinamiche occupazionali: solo nei primi 8 mesi dell’anno si è perso l’1,1% dei posti di lavoro nelle imprese con oltre 500 addetti, mentre le ore di CIG autorizzate sono state pari a 327 milioni, vale a dire +1% rispetto ai livelli già record dell’anno precedente.

L’indagine conferma una volta di più come lo scenario sia ancora di piena recessione. Non si tratta solo di una fase congiunturale, ma di un ridimensionamento strutturale: il calo della produzione metalmeccanica, salvo brevi periodi di ripresa, dura ormai da 7 anni. Rispetto alla fase pre recessiva si sono persi quasi 33 punti di produzione e il 25% della capacità produttiva installata; nello stesso periodo, sono andati persi più di 230.000 posti di lavoro. L’unico dato confortante rimane quello relativo all’export che è ritornato ai livelli pre-recessivi (nello stesso periodo il commercio mondiale è cresciuto del 35,4%) con vendite all’estero pari a 190 miliardi di euro, vale a dire la metà dell’intero export manifatturiero italiano, con un attivo nell’interscambio commerciale pari a 65 miliardi di euro, in grado di contribuire in modo essenziale al riequilibrio della bilancia commerciale, compensando le spese per l’import di energia e materie prime di cui il nostro paese è quasi totalmente dipendente dall’estero.

Decremento della produzione, ridimensionamento del portafoglio ordini e calo degli occupati: questa la tendenza che proseguirà fino alla fine dell’anno e che potrebbe limitare fortemente le attese di ripresa per il 2015.